Chiuso, aperto, chissà. L’elenco delle attività obbligate dal Governo a chiudere i battenti per l’emergenza coronavirus crea difficoltà e dilemmi interpretativi anche in Toscana, dove l’Irpet (l’Istituto regionale di programmazione economica) sta provando a stimare l’impatto su aziende e addetti.

I nuovi calcoli (che però non tengono conto della rimodulazione dei settori decisa ieri 25 marzo) dicono che gli addetti da oggi a casa sono il 38,1% del totale (dato rivisto rispetto al 41,3% stimato nei giorni scorsi): le province toscane più colpite dal decreto sono quelle più industrializzate, e dunque Prato (dove il 54,7% degli addetti non va più al lavoro) e Arezzo (43,9%). Quelle meno colpite sono invece le province a minor presenza industriale, e dunque Grosseto (29,5% degli addetti a casa) e Livorno (31,8%). Nel calcolo sono compresi tutti i settori, e dunque bar, ristoranti, negozi, servizi e industria. Guardando solo all’industria, a Prato resterà a casa addirittura l’82,1% degli addetti, il dato più alto della Toscana. 

Anche prendendo in considerazione le aziende (unità locali) soggette a chiusura, Prato svetta su tutti: il 62,4%, contro una media regionale del 53,2%. Tutte le altre province sono comprese tra il 50,9% (Pisa, la percentuale più bassa) e il 55,5% (Pistoia). 

Firenze (37,6% degli addetti a casa e 51,7% delle aziende chiuse) si discosta poco dalla media regionale: «Il sistema produttivo fiorentino vanta una forte presenza industriale in settori non essenziali come la moda, ma anche in quelli essenziali come la farmaceutica, e inoltre ha un terziario variegato, in cui spiccano molte attività professionali che in larga misura resteranno aperte (magari con lavoro agile) oltre a quelle pubbliche; soffre invece per la presenza di attività culturali e ricreative, bar e ristoranti del tutto soggetti a chisura». 

Da notare che gli alberghi non sono compresi tra le attività non essenziali soggette a chiusura.