Ico e Consob

Consob, l’autorità italiana per la vigilanza nei mercati finanziari, ha sottoposto a consultazione pubblica una proposta per regolamentare l’emissione e la circolazione di cripto-asset, tra cui Initial Coin Offerings (ICOs) tramite piattaforme di equity crowdfunding.
 
La consultazione ha l’obiettivo di avviare un dibattito a livello nazionale in connessione con la diffusione delle ICO e, quindi, di crypto-asset nei quali investono i risparmiatori italiani. Con un atteggiamento sufficientemente aperto il documento di discussione della Consob, che si sostanzia in 15 domande aperte ai soggetti interessati, non vuole precludere e limitare le opportunità di un settore in costante evoluzione, avviando invece un confronto sui temi per dare sicurezza al mercato in prospettiva.
 
Le ICO rappresentano infatti “una modalità innovativa di finanziamento di attività che si realizzano mediante l’emissione e la successiva offerta al pubblico di token” generati avvalendosi della tecnologia blockchain. Queste operazioni, sottolinea Consob nel suo documento, “possono determinare negli acquirenti aspettative di rendimenti/ritorni economici rappresentati, a grandi linee, da proventi in via diretta, parametrati all’andamento dei ricavi, dei volumi di beni e servizi venduti o dei profitti dell’iniziativa imprenditoriale, e in via indiretta, correlati al potenziale apprezzamento del valore dei token negoziati in exchange dedicati”.
 
Perché – e questo è una premessa su cui Consob è chiara – di investimenti si trattache necessitano quindi di un’adeguata tutela del risparmiatore, ovvero di fornire “tutte le informazioni necessarie affinché i potenziali investitori possano valutare compiutamente gli investimenti proposti” e le modalità per liquidare gli asset in piena sicurezza e in un mercato neutrale.
 
Secondo Consob, gli operatori meglio posizionati per poter offrire professionalmente assistenza nella realizzazione delle offerte di cripto-attività a un numero potenzialmente indeterminato di investitori appaiono proprio i gestori di portali di equity crowdfunding, soggetti al regolamento specifico che rappresenta un modello d’eccellenza.
 
Con la consultazione di Consob, che fa trasparire le proprie posizioni, l’Italia si pone  al centro di una discussione a livello europeo, individuando un possibile strada coerente volta a attrarre innovazione e ponendo il Paese sulla buona strada per l’apertura di un dibattito e l’individuazione di soluzioni sostenibili.

Agroalimentare e digitale: binomio vincente

L’innovazione digitale e’ ormai protagonista nel comparto agroalimentare, settore che sperimenta soluzioni smart per aumentare la competitività e soprattutto migliorare qualità e tracciabilità del Made in Italy alimentare.

Sono già trecento le soluzioni innovative disponibili per supportare l’Agricoltura 4.0, intesa come utilizzo di tecnologie interconnesse per migliorare resa e sostenibilità delle coltivazioni, ma anche la qualità produttiva e di trasformazione e le stesse condizioni di lavoro.

Secondo i dati diffusi dall’Osservatorio Smart Agrifood della School of Management del Politecnico di Milano e del Laboratorio RISE (Research & Innovation for Smart Enterprises) dell’Università degli Studi di Brescia, infatti, sono le stesse startup a proporre soluzioni digitali nei settori agricolo e agroalimentare: ammontano a cinquecento le imprese attive a livello mondiale in ambito eCommerce (65%) e Agricoltura 4.0 (24%).

L’innovazione digitale è una leva strategica per il settore agroalimentare italiano, in grado di garantire maggiore competitività a tutta la filiera, dalla produzione in campo alla distribuzione alimentare, passando per la trasformazione – afferma Filippo Renga, Direttore dell’Osservatorio Smart AgriFood -.

Il successo delle imprese agricole passa sempre di più dalla capacità di raccogliere e valorizzare la grande mole di dati che si genereranno, soprattutto per ottenere il controllo dei costi e l’aumento della qualità della produzione. Va evidenziato comunque che tra gli attori del settore emerge ancora poca chiarezza su come sfruttare queste opportunità; un segnale che serve investire nella creazione di sane competenze, al di là delle mode.

Molto evidente, inoltre, è l’impatto del digitale sulla tracciabilità alimentare, tanto che il 30% delle imprese che adottano soluzioni digitali di tracciabilità – sono 133 le soluzioni tecnologiche per la tracciabilità alimentare disponibili sul mercato italiano – ha rilevato un calo degli errori di inserimento dei dati e del rischio di manomissione.

Start Up, PMI innovative ed incentivi Fiscali

Per il 2019 sono presenti nuove agevolazioni fiscali per chi investe in start-up e PMI innovative.
Ecco cosa cambia per i potenziali investitori nel 2019 e come usufruire dei vantaggi.

La Legge di Bilancio 2019 (legge 148 del 30 dicembre 2018, art.1, comma 218) ha stabilito l’incremento dell’aliquota delle agevolazioni fiscali per chi investe in startup e PMI innovative, sotto forma di detrazione IRPEF per le persone fisiche e di deduzione IRES per le persone giuridiche. “Il predetto incremento sarà pienamente efficace previa autorizzazione della Commissione europea secondo le procedure previste dall’articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea”, parte del testo della manovra finanziaria.

I benefici spettano, come per l’anno scorso, sia a persone fisiche sia a società con i medesimi limiti precedenti. Cambia la somma detraibile e deducibile:

40% di detrazione fiscale IRPEF, in caso di investimento come persona fisica nel capitale di Start-up o PMI, per un massimo di 1 milione di euro investito all’anno, con un incremento del 10% rispetto al 2018;
40% di deduzione fiscale IRES, in caso di investimento come persona giuridica nel capitale di Start-up o PMI, per un massimo di 1 milione e 800mila euro all’anno con un incremento del 10% rispetto al 2018. Inoltre, le persone giuridiche diverse da imprese configurabili come start-up innovative che acquisiranno l’intero capitale sociale della start-up, avranno la possibilità di usufruire di incentivi fiscali ancora maggiori con un aumento della detrazione dell’aliquota IRPEF fino al 50% del capitale investito;

In entrambi i casi, come per gli anni precedenti, per non perdere l’agevolazione è necessario mantenere l’investimento per almeno 3 anni.

Queste agevolazioni fiscali si otterranno nel momento della compilazione dei redditi.
Ormai manca solo la conferma da parte sia dell’Unione Europea e l’ufficialità effettiva da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Una volta approvate saranno valide solo per gli investimenti fatti nel 2019.

 

Legge Bilancio 2019: come cambia il Credito d’Imposta Formazione 4.0

Anche nel 2019 le imprese che investono nella formazione 4.0 dei dipendenti potranno accedere al credito d’imposta, ma con soglie e aliquote diverse in base alla dimensione dell’azienda. Tuttavia restano esclusi dall’incentivo i liberi professionisti.

Introdotto dalla Legge di Bilancio 2018, il credito d’imposta per la formazione 4.0 è destinato alle aziende che investono in attività formative incentrate sulle conoscenze tecnologiche previste dal Piano nazionale Industria 4.0, ribattezzato Piano nazionale Impresa 4.0.

Obiettivo dell’incentivo è incoraggiare la partecipazione del personale delle imprese a corsi di formazione sulle tematiche connesse alla digitalizzazione dei processi produttivi. Come previsto dal decreto attuativo del 4 maggio 2018, il credito d’imposta spetta in misura pari al 40% delle spese ammissibili sostenute nel periodo d’imposta agevolabile e nel limite massimo di 300mila euro per ciascun beneficiario.

Si tratta di una misura che piace molto alle aziende italiane, come testimonia l’edizione 2017-2018 dell’Osservatorio Industria 4.0 della School of Management del Politecnico di Milano. In base al report, infatti, il 60% delle imprese intervistate ha deciso di usufruire del credito d’imposta per la formazione 4.0 o ci sta pensando.

Le novità introdotte dalla Legge di Bilancio 2019

Rispetto all’anno 2018, le soglie e le aliquote dell’incentivo vengono differenziate in relazione alla dimensione dell’impresa beneficiaria:

per le micro e piccole imprese: il credito d’imposta viene attribuito nella misura del 50% delle spese ammissibili, nel limite massimo annuale di 300.000 euro;
per le medie imprese: il credito d’imposta spetta in misura pari al 40% nel limite massimo annuale di 300.000 euro;
per le grandi imprese: il credito d’imposta è attribuito nel limite massimo annuale di 200.000 euro e nella misura del 30%.

Esclusi i liberi professionisti, ma…

In un comunicato congiunto, l’Associazione dei dottori commercialisti e degli esperti contabili (ADC) e l’Associazione nazionale commercialisti (ANC) fanno presente che la Legge di Bilancio 2019, esclude – come la precedente – i liberi professionisti tra i beneficiari del Credito d’Imposta per la Formazione 4.0.

“La professione del commercialista non può oggi esimersi dall’utilizzo delle smart technologies, soprattutto in considerazione delle richieste dei nuovi mercati che impongono procedure snelle ed efficienti e la piena collaborazione inter e intraprofessionale, anche in modalità remota”, si legge nella nota.

L’ADC aveva già denunciato le contraddizioni della manovra che, da un lato, incentiva i professionisti ad investire nelle nuove tecnologie utilizzate negli studi professionali e dall’altra esclude la possibilità per loro di scaricare il costo della relativa formazione.

Con riferimento al contesto europeo e nazionale, le due associazioni sottolineano come stiano sfumando “i confini geografici tra luoghi di lavoro e collaboratori e viene considerata impresa qualsiasi attività che produca reddito; in Italia invece prevale ancora l’idea che sia unicamente l’impresa tradizionalmente intesa a poter essere considerata degna di ricevere finanziamenti sulla tecnologia e si trascurano i professionisti, tra cui i commercialisti, che contribuiscono al PIL e alla creazione di posti di lavoro”.

Migliorano le esposizioni NPE

Le Non performing exposures (Npe) del sistema bancario italiano sono in forte miglioramento: il totale al lordo delle svalutazioni è passato dai 341 miliardi del dicembre 2015 ai 209 miliardi del settembre scorso. Lo afferma uno studio di Ey, il gruppo di Ernst & Young di revisione e organizzazione contabile.

Secondo la ricerca, la gestione degli Utp (Unlikely to pay, uno dei capitoli che con gli Npl formano gli Npe) è diventata una priorità per le banche italiane, con un valore dei crediti incagliati nei bilanci al netto degli accantonamenti di 52 miliardi.

Nel 2018, anche grazie al successo dello schema Gacs sulle cartolarizzazioni, le transazioni annunciate hanno raggiunto un volume di quasi 80 miliardi, con un incremento di quasi il 40% rispetto al 2017. “Nel corso dell’anno è proseguito l’impegno delle principali autorità europee per la riduzione dello stock di Npe e la definizione di livelli comuni di accantonamento, i cui impatti saranno significativi anche nei prossimi anni”.

Fonte : Investing.com

E Commerce indiretto, profili fiscali

La nostra analisi Inizia con un breve iepilogo del trattamento Iva nei rapporti B2C che, per comodità espositiva, si riassumerà nella seguente tabella esplicativa:

Paese del “cedente” soggetto passivo Iva Paese dell’acquirente privato Operazioni ai fini Iva Riferimenti normativi
Italia Italia Operazione imponibile Iva Articoli 2 e 7 bis D.P.R. 633/1972
Paese Ue (diverso dall’Italia) Disciplina delle “vendita a distanza” Articolo 41 D.L. 331/1993
Paese extra-Ue Cessioni all’esportazione non imponibili Articolo 8 D.P.R. 633/1972
Paese Ue (diverso dall’Italia) Italia Disciplina delle “vendita a distanza” Articolo 40 D.L. 331/1993
Paese extra-Ue Italia Importazione imponibile Iva in Italia (Iva assolta in dogana) Articolo 67 D.P.R. 633/1972

Con riferimento alle vendite a distanza effettuate da un cedente soggetto passivo Iva italiano a un privato residente in un paese Ue, tali operazioni:

  • sono territorialmente rilevanti ai fini Iva nel luogo del consumo e quindi nel Paese dell’acquirente privato (cessionario), qualora siano state superate le cosiddette “soglie di protezione” fissate da ciascuno Stato membro (si veda in seguito per ulteriori dettagli) oppure “per opzione” (esercitata attraverso l’apposita annotazione nel quadro VO della dichiarazione Iva);
  • sono territorialmente rilevanti ai fini Iva nel Paese dove si trova il bene al momento della cessione (secondo la regola generale prevista dall’articolo 7 bis D.P.R. 633/1972), qualora le suddette “soglie di protezione” non siano state superate.

Le regole appena esposte sono inoltre applicabili se sussistono le seguenti condizioni:

  • gli acquirenti (cessionari) sono dei privati, ovvero dei soggetti ad essi assimilati quali:
    • soggetti possessori di partita Iva ma non iscritti al VIES,
    • enti, associazioni e altre organizzazioni non soggetti all’imposta (articolo 4, comma 4, D.P.R. 633/1972),
    • produttori agricoli in regime speciale (articolo 34 D.P.R. 633/1972);
  • i beni ceduti non sono (esclusioni oggettive):
    • beni soggetti ad accisa;
    • mezzi di trasportonuovi”;
    • beni da installare, montare o assiemare dal fornitore o per suo conto;
  • il trasporto dei beni è effettuato direttamente dal cedente o per suo conto nei confronti dell’acquirente.

Le “soglie di protezione” dei principali Paesi europei (che possono essere pari ad € 100.000,00 o ad un minor importo stabilito da ciascuno Stato membro) sono le seguenti:

Pertanto, qualora, ad esempio, un soggetto passivo italiano ceda beni per corrispondenza ad acquirenti privati francesi per un ammontare annuale superiore ad € 35.000,00 (si veda la superiore tabella), deve effettuare le cessioni con Iva in Francia. Se invece cedesse anche dei beni per corrispondenza verso privati in Spagna per un ammontare annuale pari ad € 20.000,00 (e quindi per un importo inferiore alla “soglia di protezione” stabilita dallo Stato), deve applicare l’Iva in Italia, senza alcun obbligo di assolvimento dell’Iva in Spagna.

Nel caso in cui il cedente abbia superato la “soglia di protezione” nel corso dello stesso anno, tale superamento non ha effetto sulle operazioni effettuate precedentemente (articolo 14 Regolamento UE 282/2011). In tal caso, infatti, l’obbligo di imponibilità ai fini Iva nel Paese dell’acquirente parte dalla cessione che ha determinato lo “sforamento” ed avrà effetto anche per tutte le cessioni che saranno effettuate nella parte rimanente dell’anno in corso e nell’anno successivo.

In tali casi è ovviamente necessario che il cedente non abbia già optato in precedenza per l’applicazione dell’Iva nel paese Ue dell’acquirente e che non abbia già superato la “soglia di protezione” nell’anno precedente.

Con riferimento invece alle vendite a distanza effettuate da un cedente soggetto passivo Iva italiano a un privato residente in un paese extraUE, si applicano le ordinarie norme sulle esportazioni previste dall’articolo 8 D.P.R. 633/1972.

Deve pertanto essere emessa una fattura non imponibile ai sensi del predetto articolo 8 ed è necessario provare l’avvenuta esportazione. Pertanto, ancorché non obbligatoria, è consigliabile emettere comunque la fattura in quanto è un documento ordinariamente richiesto in dogana ai fini dell’esportazione.

Esiste ovviamente l’obbligo di registrazione dell’operazione nel registro dei corrispettivi (qualora non si emetta la fattura) o nel registro delle fatture emesse.

Fonte : Euroconference 

Brexit e Mercati

Borse europee in rosso, dopo la sbornia delle dichiarazioni di ieri di Theresa May, il primo ministro britannico, che non è riuscita a presentare il piano B, ma ha lanciato diversi messaggi per chiarire la sua posizione sulla Brexit.

May ha annunciato che continuerà a discutere con l’opposizione per poter presentare successivamente un nuovo piano di negoziati con i suoi partner dell’Unione europea. “Tuttavia, in sostanza, il Piano A si fonda sulla speranza che i conservatori e i laburisti possano mettersi d’accordo intorno ad una migliore soluzione del problema irlandese e poi persuadere Bruxelles (e, naturalmente, gli irlandesi) ad accettarlo”, dicono a Renta Markets.

Gli esperti di Renta 4 sono dello stesso parere: “May ha scelto di non offrire un’alternativa al piano originale, affermando che l’unica opzione è quella di approvare l’accordo esistente”.

“Quello che ha chiarito May è il suo rifiuto ad un nuovo referendum, che i sostenitori della Brexit vedono come un rischio. La Premier non ha escluso un’uscita dalla UE senza un accordo, qualcosa che non crediamo che accadrà perché la maggior parte dei deputati britannici non supportano questo scenario,” aggiungono in Link Securities.

José Luis Cárpatos, CEO di Serenity Markets, concorda che, “in una seconda lettura del mercato dalla deludente apparizione di May in Parlamento, il primo ministro è stato duramente accusato di anteporre gli interessi del suo partito a quelli della nazione. Una dura critica per il suo “no” a tutto. No al secondo referendum, no alla richiesta di rinvio della Brexit, no alla rinuncia del mancato accordo, no a tutto. Ancora una volta questa mattina, si diffondono le opinioni circa l’impossibilità di una hard.

Inoltre, May si è impegnata a presentare un accordo prima della scadenza del 29 marzo. “Nonostante l’opposizione del Primo Ministro ad un ritardo nella scadenza della Brexit, non escludiamo una potenziale proroga dell’articolo 50 per alcuni mesi per dare il tempo necessario per un nuovo negoziato tra il Regno Unito e i suoi partner nell’UE. Quello che è certo è che a meno di 10 settimane dalla scadenza, il processo della Brexit sta diventando un vero e proprio fallimento per la politica britannica”, sottolineano in Link Securities.

In questo modo, secondo Renta 4, “il Piano B consisterà nelle proposte del Parlamento stesso, che dovranno essere concordate, e con cui May tornerà a Bruxelles per ottenere nuove concessioni che le permetteranno di superare il blocco parlamentare, anche se l’UE sembra restìa a rinegoziare l’accordo”.

Fonte : Investing.com

 

Al via il nuovo EURIBOR

La grande riforma dei tassi del mercato interbancario entra nel vivo: entro fine anno debutterà la nuova versione dell’Euribor. Il nuovo metodo di calcolo, avvertono gli esperti, potrebbe incrementare la volatilità dell’indicatore cui sono agganciati milioni di mutui in tutta Europa.

Nel 2019 è destinata ad entrare in vigore la nuova versione dell’Euribor, il tasso di interesse medio delle transazioni finanziarie in Euro tra le principali banche europee.

L’Euribor, utilizzato come un indicatore del costo del denaro a breve termine, rappresenta il tasso base per calcolare interessi variabili su cui in una miriade di contratti bancari, derivati e prestiti.

Con scadenze che possono variare tra una settimana e 12 mesi, l’Euribor è l’indicatore comunemente utilizzato nel calcolo degli interessi dei mutui ipotecari a tasso variabile.

Per renderlo maggiormente conforme ai principi adottati a livello internazionale ed evitare nuovi scandali, l’European money markets institute (Emmi) ha annunciato una nuova modalità di calcolo dell’indice.

Arriva la versione “ibrida”

Attualmente l’Euribor è calcolato tramite le rilevazioni compiute da un panel di 20 banche mentre con la nuova versione “ibrida” il tasso sarà determinato attraverso gli effettivi scambi di mercato per le diverse scadenze.

In mancanza di transazioni, il calcolo sarà effettuato tramite le stime del costo della raccolta effettuata dalle banche del panel.

Per quanto riguarda le tempistiche, la nuova versione del tasso entrerà in vigore entro la fine dell’anno.

Quali conseguenze per chi ha un mutuo indicizzato all’Euribor?

Stando ai risultati dei primi test, a livello pratico non ci dovrebbero essere troppe differenze: con la nuova metodologia di calcolo lo scarto con la vecchia versione è minimo.

A livello di numeri, lo scostamento tra la nuova e la vecchia versione avrebbe fatto emergere uno “spread” compreso tra -1 e -5 punti base.

A livello legale, non dovrebbero essere necessarie modifiche ai contratti in essere: a cambiare sarà la metodologia di calcolo del dato, non la natura del tasso utilizzato.

Vix e Volatilità i protagonisti del 2018

Ha dominato i titoli dei media nel 2018, e anche se non è un asset finanziario può diventare oggetto di investimento grazie a futures ed Etf. Ma considerarla come tale può causare rischi ed eccessi pericolosi.

Volatilità. Potrebbe aspirare alla nomination come “parola dell’anno” 2018, almeno per quanto riguarda i mercati finanziari. Il Vix, detto anche indice della paura, è stato forse il più gettonato dai titoli di giornali e tv finanziari da gennaio a dicembre. Vale a dire da quando gli indici di Wall Street, lanciati a tutta velocità in partenza d’anno, sono andati a sbattere contro la prima correzione, dopo il 26 di gennaio, fino a quando a cavallo di Natale hanno messo in scena la più spettacolare giravolta della storia di Wall Street finendo a chiudere il peggior dicembre dal 1931, ma anche mettendo a segno il giorno di Santo Stefano il rialzo più imponente di sempre in termini di punti del Dow Jones: 1.086 e qualcosa. Da quanto l’indice è stato creato, nel maggio del 1983, 7 dei 20 più importanti movimenti al rialzo si sono verificati nel 2018, e sempre nel 2018 sono stati registrati 11 dei 20 movimenti al ribasso più importanti. Ovviamente in termini percentuali il discorso cambia, con il record negativo ancora saldamente detenuto dal crash di ottobre 1987 – con il 22,6% -seguito dai tonfi consecutivi dell’autunno del 1929. Ma i numeri con molti zeri fanno comunque impressione e funzionano nei titoli.

ETF COSTRUITI SU FUTURES COSTRUITI SU OPZIONI

Per questo il Vix attira tanto interesse e curiosità. Non è un indice come gli altri, tipo lo S&P 500, in quanto non misura il valore di un asset sottostante, ma solo l’intensità di un movimento implicito ma inespresso al rialzo o al ribasso. Eppure sulla volatilità si può investire come su un indice azionario, anche se il percorso è un po’ contorto. A Chicago infatti hanno costruito i futures sulla volatilità, che si basano sulle opzioni put e call a scadenza 2, massimo 3 mesi sui titoli dello S&P 500. In pratica in questo modo i futures, che sono un asset finanziario a tutti gli effetti, rispecchiano la volatilità implicita nei prezzi delle opzioni. Più una put – vale a dire il diritto a vendere a un prezzo predeterminato entro una scadenza data – costa, più vuol dire che il mercato scommette su un apprezzamento, che deriverebbe da una caduta del prezzo del sottostante. Però c’è un problema dovuto proprio alla struttura del futures e soprattutto degli ETF che lo replicano…

Fonte : FinaciaLounge

Filati Biagioli Modesto spa elimina le sostanze tossiche dal ciclo produttivo

 

Abbiamo “costruito” un medio termine partecipativo  di 150 000 € a 36 mesi per finanziare la realizzazione di un progetto volto all’eliminazione delle sostanze tossiche nel processo produttivo.  Tale soluzione consentirà all’azienda di eliminare tutte le emissioni  chimiche pericolose e di introdurre un nuovo modello di business responsabile. Il progetto sarà realizzato dalla consociata Tintoria Biagioli Modesto S.r.l. 

Ricordiamo che  Team Advisor  ed October hanno già effettuato insieme alla  Filati Biagioli Modesto S.p.A. un medio termine simile nel giugno 2018 per un importo di 500 000 € volto  alla ristrutturazione dell’impianto produttivo. 

Siamo felici di aver concluso un altra operazione fintech che aiuta la crescita dei nostri clienti ed in questo caso aiuta anche l’ambiente in cui viviamo.

 

Dettagli Medio Termine